lunedì 9 marzo 2015

Il lettore della Parola di Dio


La Parola di Dio nelle celebrazioni di natura liturgica va proclamata. Proclamare significa "annunciare qualcosa in modo solenne e ufficiale". A ben vedere il termine "proclamare" non può essere qui ridotto ad una semplicistica solennità, che in al caso sarebbe pressochè inefficace sul piano comunicativo.
Proclamare, leggere, annuciare, declamare, la vera questione è: di che servizio si stratta?

Partiamo col dire che quello del lettore liturgico è un servizio semplice soltanto in apparenza.
La lettura non può "recitata", non può essere cioè drammatizzata e resa teatrale, non può essere caricata di eccessivi virtuosisimi da parte del lettore, nè del resto, può essere del tutto privata di carattere espressivo e naturale, non può mancare di efficacia comunicativa.
Autenticità personale e adesione allo spirito autentico del testo sono le cose che dovrebbero guidare il lettore nello svolgimento del suo specifico servizio liturgico.
Artificiosità e virtuosismo drammatico da un lato e inespressività e piattezza dall'altro sono invece i maggiori difetti della proclamazione dei testi sacri.

Come evitiamo di essere lettori artificiosi e teatrali o come evitiamo il difetto opposto della lettura piatta e inespressiva?

Un buon antidoto ai difetti sopra citati è quello di essere sufficientemente preparati sui testi che si devono leggere, sul loro genere, sugli autori, e sul contenuto che essi portano.
Il lettore, a maggior ragione se si tratta di un lettore istituito, dovrebbe avere una certa conoscenza della Sacra Scrittura e sapersi orientare tra i libri sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento, sia conoscendo i loro generi letterari (storico, poetico, profetico, sapienziale, apocalittico, ecc.), sia conoscendo, almeno in via generale, i contesti storici in cui essi sono stati scritti e, quando possibile, conoscerne gli scrittori. Leggere Paolo è, infatti, una cosa molto diversa dal leggere Pietro.
Al lettore, poi, non dovrebbe mancare neppure un buon orientamento sulla liturgia in generale, dovendo egli conoscere almeno i riti nelle loro varie parti e nei loro significati, e dovendo avere chiaro il ruolo ministeriale rivestito dalla sua figura nell'ambito della liturgia, sapendo anche che al lettore compete la lettura delle intenzioni della preghiera universale e di altre parti nelle varie celebrazioni.

Va da sè che il lettore debba sapere come muoversi nel presbiterio e come stare presso l’ambone, come usare il microfono, come gestire il lezionario, come pronunciare i nomi e i termini della bibbia, e come proclamare i testi evitando, come si è detto, una lettura o spenta o eccessivamente enfatica.
Sapendo di esercitare un ministero non per se stesso, ma per l’intera assemblea dei fedeli, deve sapere poi come far udire la sua voce chiaramente a tutti i presenti.
Il Parola di Dio che chiude ogni lettura è infine una conferma determinata e chiara che è Dio stesso l'autore primo di ciò che si è appena proclamato, e non che "parola di uomo" si tratta, ma di Dio stesso; sarà volendo esprimere ciò che il lettore pronuncerà la chiusura della proclamazione.

Altro buon antidoto contro i difetti della proclamazione litirgica è l'adesione personale del lettore alla fede cristiana. Un lettore che non senta l'autenticità della Parola di Dio e non senta una sincera familiarità con essa stenta di certo a compiere bene un servizio come quello che la chiesa gli affida.
Non può essere infatti che si riduca la proclamazione della Parola di Dio a un fatto meramente tecnico, ogni servizio nella Chiesa deve scaturire dalla fede e dalla personale adesione alla salvezza di Cristo. E' solo da una fede personale che può nascere quell'autenticità che è necessaria alla proclamazione corretta della Parola.

Il modo di proclamare i vari testi



38. Nei testi che devono essere pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo. 
(Ordinamento Generale del Messale Romano)

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