mercoledì 11 marzo 2015

Il simbolo

Dal punto di vista della comunicazione, la liturgia può essere letta come un complesso apparato simbolico in cui sono ordinatamente e coerentemente assemblati simboli e segni,  quali gesti, formule verbali, abiti, colori, oggetti liturgici ed arredi, spazi, architetture ed icone. 
Segni e simboli organizzati in modo da creare in chi partecipa alle celebrazioni una sequenza di percezioni significativa e dotata di senso.
La comunicazione liturgica spazia naturalmente nel campo di tutti e cinque i sensi umani, senza esclusione alcuna.
La vista è il primo senso coinvolto, destinatario delle luci, dei colori, dei gesti, dei paramenti, delle architetture e delle immagini.  
A ciò che viene percepito dalla vista, segue, armonizzato, il senso dell'udito, ricevitore di parole (formule e letture) dette e proclamate, di canti, di musiche, di silenzi. 
L'olfatto è talvolta sollecitato dal profumo dei fiori posti ad ornamento degli altari, ma in misura ben maggiore è colpito dal profumo dell'incenso.
Meno percorsi sono i canali del tatto e del gusto.
Il tatto, infatti, è interessato quasi esclusivamente dalla  sensazione procurata dalla stretta di mano che si compie al momento del segno della pace, mentre il gusto è coinvolto dal "non-sapore" della particola ingerita alla comunione.

I simboli liturgici debbono poter parlare autonomamente e liberamente a chi è presente alla celebrazione, e non essere ricoperti di spiegazioni didascaliche che fanno loro perdere di funzione e di freschezza. E' davvero controproducente la pedanteria che si ingenera con la spiegazione forzosa dei simboli (questo significa...). Il simbolo e il segno sono infatti di per sè elementi comunicativi. Spiegarli non solo non aggiunge del senso, ma ne svilisce piuttosto la densità emotiva.

I simboli vanno curati con attenzione non per un mero puntiglio estetico, ma per una reale rispetto del linguaggio divino.
Il pane sia pane, il vino vino, il calice sia calice, l'acqua si veda che è acqua (e il contenitore mostri la dignità che è dovuta al simbolo chiave del battesimo e della purificazione), l'offertorio non presenti doni stravaganti e forzosi o (un mappamondo di plastica non rappresenta il mondo, nel contesto liturgico ne diventa la parodia, una confezione di cuoricini di cioccolata con la marca bene in vista non rappresenta, come qualche cerimoniere ha pensato, il cuore dei fedeli che sale all'altare, rappresenta piuttosto un prodotto da supermercato).
Sempre il cerimoniere si deve chiedere, lavorando sui simboli: che cosa evoca ciò che sto per utilizzare in chi lo verrà a percepire?  
Alcuni simboli, quelli canonici, non fanno correre grossi rischi di fraintendimento o di pacchianeria: pane, vino, acqua, fuoco, mani alzate al padre nostro, genuflessione, cero pasquale, candele, lampade a olio, anfore, grano, uva, ...sono simboli da sempre usati nella chiesa e sono sicuri.
Vanno tuttavia mostrati in modo corretto: il vino per la consacrazione non può essere portato all'altare dentro una caraffa di plastica o in una bottiglia che ne mostri la marca.   
Altri segni sono semplicemente degli azzardi belli e buoni, e la loro spiegazione non fa che peggiorare inesorabilmente le cose. Più si cerca di renderli comprensibili e più i segni pacchiani e inappropriati diventano ridicoli e parodistici.
Non esiste naturalmente una regola rigida e matematica, ci sono piuttosto la sensibilità, la cultura e il buon gusto che devono fare la loro parte.
 

 


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appendice

Dalla voce della Treccani.it

sìmbolo s. m. [dal lat. symbŏlus e symbŏlum, gr. σύμβολον «accostamento», «segno di riconoscimento», «simbolo», der. di συμβάλλω «mettere insieme, far coincidere» (comp. di σύν «insieme» e βάλλω «gettare»)]. –

1. Nell’uso degli antichi Greci, mezzo di riconoscimento, di controllo e sim., costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto (per es., un pezzo di legno), che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia.

2. fig.

a. Qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, il quale viene pertanto assunto a evocare in partic. entità astratte, di difficile espressione: il focolare è s. della famiglia; la palma è s. del martirio; la volpe è s. dell’astuzia, il leone della forza, il cane della fedeltà, la colomba della pace; in Dante, Ulisse diventa il s. dell’ansia di conoscenza; eroe, personaggio che assurge a s., che assume valore di s., elevato a s. (di una nazione, di un’idea, di un carattere, di una tendenza, ecc.). Con riferimento a città, stati, movimenti, partiti e sim., segno distintivo e rappresentativo: il giglio è il s. di Firenze; la croce è il s. del cristianesimo; il panda è il s. della fondazione WWF.

b. Nella scienza giuridica, ognuna di quelle formalità rituali che, spec. nelle civiltà più primitive, servono a costituire la celebrazione dei negozî giuridici. Analogam., con riferimento a fenomeni religiosi e culturali, ogni funzione rituale la cui realtà è sentita dai fedeli come simbolica dell’arcano essere divino.

c. In psicanalisi, la rappresentazione figurata di un contenuto (desiderio, conflitto, ecc.) inconscio e latente.

d. In semiologia, secondo la terminologia di Ch. S. Peirce (1839-1914), segno il cui significante è in rapporto puramente convenzionale con la cosa significata, alla quale si collega in virtù di una regola costante, e in genere nota e accettata dai più (per es., la bilancia come simbolo della giustizia), a differenza delle icone che hanno rapporto di somiglianza con la realtà esterna, e degli indici che sono con questa in rapporto reale o di «contiguità».

3. Segno grafico, lettera o gruppo di lettere, assunti per convenzione in varie discipline a indicare determinati elementi, enti, grandezze, strumenti, operazioni e sim.: π è il s. matematico che indica il rapporto fra la lunghezza di una circonferenza e la lunghezza del diametro. In partic.:

a. In cartografia, ciascuno dei segni convenzionali usati per rappresentare su una carta topografica, geografica, ecc., gli elementi naturali (monti, laghi, fiumi) o antropici (case, ponti, città), generalm. riportati e spiegati in apposita leggenda.

b. In chimica, notazione di un elemento chimico formata di solito dalla prima lettera, eventualmente seguita da un’altra, del suo nome latino o latinizzato (come, per es., Cu, simbolo del rame, detto in latino cuprum). Hanno valore simbolico anche molti altri segni usati nella notazione di reazioni o in formule di struttura. Così, in partic., + in alto a destra del simbolo di un elemento o di un radicale indica che esso risulta elettricamente positivo, cioè è un catione, e con due o più segni + o, meglio, con 2+, 3+, ecc., si indicano più cariche positive; analogam. il segno indica cariche negative. Il segno posto tra due elementi indica l’esistenza di un legame semplice; il segno = l’esistenza di un legame doppio, triplo, come, per es., in CH3CH2CH3, CH2=CH2, CHCH, formule di struttura, rispettivam., del propano, dell’etilene e dell’acetilene. Il segno indica il senso nel quale avviene una reazione, →s indica che la reazione può procedere sia verso destra sia verso sinistra, cioè che è reversibile e che si stabilisce un equilibrio tra i componenti del sistema reagente. Per le lettere greche α, β, γ, ecc., usate come simboli, v. i singoli nomi con cui sono chiamate: alfa, beta, gamma, ecc.

c. In cristallografia, s. cristallografici, l’insieme degli indici che permettono di determinare la posizione della faccia di un cristallo oppure la sua forma semplice: così, nel sistema monometrico, i simboli delle facce del cubo saranno (100), (010), ecc., mentre la forma avrà per simbolo {100}.

d. In informatica, carattere o insieme di caratteri che rappresenta per convenzione una quantità, un dato, un’istruzione, un’operazione o un processo. S. d’informazione o di controllo, lo stesso che cifra d’informazione o di controllo (v. cifra, n. 4).

e. In logica, s. logico, segno usato per rappresentare un operatore logico (negazione, congiunzione, disgiunzione, quantificatore universale, ecc.).

f. In musica, ciascuno dei segni convenzionali (per es., chiavi, pause) indicanti toni, valori, interruzioni di suoni, ripetizioni e sim.

4.

a. Nelle religioni misteriche, la formula che, come motto, serviva di riconoscimento tra gli iniziati.

b. Nella religione cristiana, il compendio delle fondamentali verità di fede che il candidato al battesimo (o, in sua vece, il padrino o la madrina) deve recitare come segno e manifestazione della propria fede e che deve sempre osservare come norma universale di vita: s. apostolico, quello recitato dal battezzando nei primi tempi della Chiesa, così detto perché si credeva composto dai dodici apostoli; s. atanasiano (o Quicumque, dalla prima parola), così detto perché attribuito per molto tempo a s. Atanasio, conservato ormai solo nell’ufficio divino; s. niceno-costantinopolitano, il simbolo più complesso, cioè il Credo recitato nella messa, risalente indirettamente ai simboli dei concilî di Nicea (325) e di Costantinopoli (380).

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